“Prima del copia-incolla, era il collage”
Anonimo del XIII secolo
Mentre sovente si rimpiange la pratica, pare desueta, di inculcare un certo numero di poesiole nei bambini delle elementari, giace negletta la memoria di un’altra esperienza fondamentale e fondativa dell’istruzione di molti ex-scolari: le ricerche. Ignoro se queste proto-tesine, questi capolavori pop di colla, bianchetto e cornicette, queste opere collettive confezionate in famiglia facciano ancora parte della formazione dei piccoli studenti; certo è che almeno una generazione di madri, oltre che di ex scolari, ne porta ancora i segni. Internet, è superfluo ricordarlo, vent’anni fa non c’era – tutt’al più qualche pionieristico Commodore 64 – e quelle due, tre, quattro volte all’anno in cui venivano assegnate le ricerche la pesca delle informazioni e delle immagini di corredo avveniva da un bacino piuttosto casuale, attingendo a quel che si aveva per casa o, più raramente, a ciò che il cartolaio o un bibliotecario paziente riusciva a procurare (credo di aver perso ore davanti al catalogo a cassettini della biblioteca “Orlando Pezzoli”, non capendo l’utilità della classificazione per soggetto, dato che non vi trovavo, per esempio, “porcospino”). Una grossolana catalogazione dei materiali di studio potrebbe comprendere: 1) volumi sparsi di enciclopedie abbastanza datate, quali Conoscere, Vita meravigliosa, I Quindici; 2) immagini tratte da cataloghi di agenzie di viaggio, volantini dei supermercati, riviste femminili; 3) per i più ricchi, speciali quaderni con “figurine” di città, animali e paesaggi già pronti da ritagliare (pubblicati da qualche genio del marketing che suppongo si sia poi riciclato vendendo riassunti online); 4) i libroni gialli Arnaldo Mondadori tipo Il Grande Libro della Storia, Il Grande Libro della Scienza o – massimo specialismo raggiunto – degli animali; 5) molta colla Pritt o Vinavil. Le ricerche vertevano su tutto lo scibile umano: le regioni d’Italia, le religioni dei nativi d’America, le specie in via di estinzione, un animale utile all’uomo che mangia gli insetti nocivi (come appunto il porcospino), i molti impieghi della barbabietola da zucchero o del maiale (è qui che si impara che esiste il sanguinaccio); e, arrivati finalmente in quinta, al traguardo della licenza elementare, un episodio della storia moderna, un pezzo del corpo umano, un paese d’Europa. La mia euro-tragedia inizia a questo punto. Quinta elementare, anno scolastico 1991/ 1992: quando Suor Augusta ordinò alla classe di scegliere un argomento scientifico, un momento storico e un paese europeo per le ricerche finali io non ebbi esitazioni. Precoce passione politica? Manie di grandezza? Chi può dirlo. Certo è che quando tornai a casa annunciando trionfante di averla spuntata, aggiudicandomi “la pelle”, “la Rivoluzione Francese” e “l’URSS” i miei genitori non nascosero la delusione e la preoccupazione. Ritenevano, evidentemente, che mi fossi fatta ancora fregare, anche se me ne sfuggiva la ragione. Siccome però erano persone piuttosto sbrigative dissero semplicemente: “fattela cambiare. L’Unione Sovietica non c’è più”. (Credo che mio padre abbia anche detto qualcosa di non gradevolissimo sull’ignoranza e sulla suoraggine della mia suora e sul fatto che questa ricerca, ringraziandoiddìo, almeno era l’ultima. Ma sorvoliamo). Non capii, il concetto mi sfuggiva. Ero una scolara diligente e non avevo scelto a caso: avevo visto sul sussidiario la cartina del paese che avevo scelto e sapevo che era il più grande, il più misterioso, il più freddo, il più tutto; copriva un sesto delle terre emerse del pianeta, si estendeva su undici fusi orari, aveva trecento milioni di abitanti… Mia madre, paziente, tentò di spiegarmi che da qualche mese l’URSS non esisteva più e che “adesso c’è la Russia, e poi ci sono degli altri paesi che si stanno definendo ora. Tu di’ a Suor Augusta che fai solo la Russia, eh? E ti fermi agli Urali, tanto oltre non è più Europa”. Ero confusa: dunque il sussidiario mentiva? Peggio: la storia si insinuava nella geografia, e mentre mio padre imprecava mia madre barava, cercando di ottenere uno sconto sulla mia ricerca. Tutto ciò non era onorevole, non potevo accettarlo. Mi dedicai, confusamente, ad appiccicare e ricopiare qualcosa su tutti i singoli cocci della mia povera, disgregata URSS, fino allo stretto di Bering, senza tralasciare nessuna delle neonate repubbliche della CSI – di cui, per inciso, si sapevano a malapena i nomi. Quando tornai a scuola notai una mia compagna, Eleonora, che confabulava con Suor Augusta. Doveva aver avuto un incidente simile al mio con i suoi genitori, perché la udii protestare che non voleva più fare la ricerca sulla Jugoslavia, che la Jugoslavia non si sapeva che fine avrebbe fatto, per caso c’era ancora un paese libero? E fu così che scoprii in un colpo solo: 1) che la mia amata insiemistica non dava conto della geografia dell’orbe terracqueo e che un paese poteva benissimo stare mezzo in Europa e mezzo fuori; 2) che comunque, ovunque sia il paese, non è detto che ci resti, dato che i confini delle nazioni – oibò! – si spostano senza neanche avvisare le maestre; 3) che i sussidiari non sono attendibili e forse neanche le madri e le suore. Poi dicono che uno è euroscettico.
Donatella Allegro – febbraio 2013
pubblicato sul focus dedicato a Il Ratto d’Europa Modena – Gazzetta di Modena online