Fino al 22 dicembre sono impegnata come aiuto alla regia nella nuova produzione di Mario Perrotta, In nome del padre.
Prima Nazionale 17-22 dicembre 2018 Piccolo Teatro di Milano
ecco le informazioni principali tratte dai sito dell’autore-attore
uno spettacolo di e con Mario Perrotta
consulenza alla drammaturgia Massimo Recalcati
collaborazione alla regia Paola Roscioli
aiuto regia Donatella Allegro
costumi Sabrina Beretta
musiche Beppe Bonomo, Mario Perrotta
allestimento tecnico Emanuele Roma, Giacomo Gibertoni
foto Luigi Burroni
progetto grafico Fabio Gamberini
Un padre. Uno e trino. Niente di trascendentale: nel corpo di un solo attore tre padri, diversissimi tra loro per estrazione sociale, provenienza geografica, condizione lavorativa. A distinguerli gli abiti, il dialetto o l’inflessione, i corpi ora mesti, ora grassi, ora tirati e severi.
Tutti e tre di fronte a un muro: la sponda del divano che li separa dal figlio, ognuno il suo. Il divano, come il figlio, in scena non c’è.
I figli adolescenti sono gli interlocutori disconnessi di questi dialoghi mancati, l’orizzonte comune dei tre padri che, a forza di sbattere i denti sullo stesso muro, smussano le loro differenze per ricomporsi in un’unica figura, senza più tratti distintivi se non le labbra rotte, incapaci di altre parole, circondate dal silenzio, l’unica cosa che resta, insieme ai resti del padre.
Mario Perrotta
Il nostro tempo è il tempo del tramonto dei padri. La loro rappresentazione patriarcale che li voleva come bussole infallibili nel guidare la vita dei figli o come bastoni pesanti per raddrizzarne la spina dorsale si è esaurito irreversibilmente. Il nostro tempo è il tempo dell’evaporazione del padre e di tutti i suoi simboli. Ogni esercizio dell’autorità è vissuto con sospetto e bandito come sopruso ingiustificato. I padri smarriti si confondono coi figli: giocano agli stessi giochi, parlano lo stesso linguaggio, si vestono allo stesso modo. La differenza simbolica tra le generazioni collassa. In questo contesto di decadenza emerge forte una esigenza di nuove rappresentazioni del padre. Trovare una nuova lingua per i padri è una necessità sempre più impellente se si vuole evitare l’indistinzione confusiva tra le generazioni e la morte di ogni discorso educativo o, peggio ancora, il richiamo nostalgico al tempo perduto dell’autoritarismo patriarcale.
Il linguaggio dell’arte – e in questo progetto di Mario Perrotta che ho scelto di accompagnare, il linguaggio del teatro – può dare un contributo essenziale per cogliere sia l’evaporazione della figura tradizionale della paternità, sia il difficile transito verso un’altra immagine – più vulnerabile ma più umana – di padre della quale i nostri figli – come accade a Telemaco nei confronti di Ulisse – continuano ad invocarne la presenza.
Massimo Recalcati